Le edizioni toscane di testi religiosi in volgare tra il XV e il XVI secolo
Le edizioni toscane di testi religiosi in volgare tra il XV e il XVI secolo
La stampa a Firenze nel XV secolo
Introduzione
Definire in maniera complessiva il quadro dell'attività tipografica di argomento religioso nella
Toscana del Rinascimento è piuttosto arduo, se si considera l'importanza e la vastità del settore, tale da coinvolgere
le officine tipografiche di monasteri e di istituzioni ecclesiastiche e attrarre, con la promessa di ingenti profitti, i
capitali degli allora nascenti editori fiorentini e toscani. Ciò è ancora più comprensibile se si considera che l'impresa
tipografica nel Quattrocento e poi nel Cinquecento era strettamente connessa al mercato editoriale: la figura
dell'editore quasi sempre coincideva con quella del tipografo e l'esigenza di raccogliere cospicue somme di capitale,
per promuovere la stampa dei libri, indirizzava il “mercato” verso la pubblicazione di quei testi che promettevano
una più larga diffusione. Non è un caso, quindi, che l'edizione dei primi testi stampati a Firenze, pensati per un
pubblico colto – ad esempio le opere di Alberti –, sia spesso affiancata dalla pubblicazione di breviari, testi di riflessione
religiosa, salteri e vangeli commissionati e destinati a religiosi dei conventi cittadini o a laici devoti.
Le prime edizioni in Toscana
Gli storici e i bibliografi più autorevoli – per citare un significativo esempio –
oscillano, nell'attribuire il merito di aver introdotto la stampa a Firenze, tra la figura dell'artigiano orefice Bernardo
Cennini – che nell'autunno del 1571 sostiene di aver “re-inventato” il sistema tipografico di Gutemberg dando alle
stampe il commento di Servio a Virgilio – e gli anonimi editori di un piccolo gruppo di opere di Alberti e Mesue,
tutte pubblicate nel 1571; tuttavia è stata anche avanzata l'ipotesi che tra i primi testi stampati a Firenze vi sia un
altro gruppo di opere accomunate dal medesimo carattere tipografico, tra cui spicca, per l'appunto, un'edizione in
volgare del Nuovo Testamento che porta la data del 1470.
Non sorprende, quindi, constatare che la committenza
religiosa è a Firenze, fin dalla nascita della stampa, uno dei fattori trainanti del mercato editoriale se non altro in
termini quantitativi: è la produzione in alte tirature di testi religiosi che supporta edizioni quali le opere di Dante –
l'autore in assoluto più stampato a Firenze tra il Quattro e il Cinquecento –
Boccaccio o Petrarca, o la monumentale
traduzione di Platone fatta da Ficino ed edita tra il 1484 e il 1485. A queste considerazioni dobbiamo aggiungere
quella sulla significativa presenza, tra il 1490 e il 1498, dell'opera di predicazione di Girolamo Savonarola che fece
letteralmente “esplodere” l'attività tipografica fiorentina per oltre un decennio: non solo le sue opere e le prediche –
soprattutto negli anni che precedettero la sua morte – venivano pubblicate, addirittura, ogni quindici giorni, ma
anche tutti gli scritti di polemica, riflessione e controversia, composti sia dai suoi nemici che dai suoi seguaci,
andarono a incrementare l'industria e il mercato editoriale della Firenze di fine Quattrocento.
Editori toscani del Quattrocento: San Iacopo a Ripoli
In questa prima fase della storia dell'editoria toscana vale la pena
sottolineare due importanti tipografie attive nel territorio di Firenze: quella del convento di San Iacopo a Ripoli e
quella di Bartolomeo de' Libri. La prima costituisce la testimonianza più significativa nel mondo dell'editoria
religiosa per circa un decennio della seconda metà del Quattrocento (dal 1476 al 1485) e la sua attività editoriale
spazia dalla stampa di opere religiose, di filosofia e di letteratura – anche di autori classici – alla lavorazione
artigianale di testi sacri mediante tecniche come quelle dell'incisione o della miniatura. I registri di questa efficiente
officina tipografica testimoniano la produzione di oltre duecento testi diversi per migliaia di copie stampate
complessivamente, rendendoci partecipi delle difficili condizioni economiche in cui questa produzione avveniva,
elencandoci i costi dei materiali, della carta e degli inchiostri utilizzati per le varie edizioni, segnalandoci le vendite
e la diffusione delle opere stampate.
Editori toscani del Quattrocento: Bartolomeo de' Libri
Bartolomeo de' Libri fu attivo a Firenze dagli anni Ottanta del
Quattrocento e proseguì la propria attività per circa trent'anni, fino al 1511. Anche questo personaggio fu fortemente
legato all'ambiente ecclesiale (in gioventù si consacrò sacerdote) e, una volta abbandonata la professione religiosa,
si dedicò a quella della stampa, interessandosi, soprattutto, della diffusione di testi sacri, di meditazione spirituale,
d'esegetica e agiografia. In pieno Cinquecento Michelangelo de' Libri, l'erede di Bartolomeo, diede vita a una vera
e propria dinastia di tipografi editori, culminante nella famiglia Sermartelli, protagonista della scena editoriale
fiorentina per gran parte del Seicento.
La crisi dell'editoria nel Cinquecento
Tra la seconda metà del XV secolo e i primi decenni del XVI la storia
dell'editoria fiorentina raggiunge il punto di suo massimo sviluppo, a partire dagli anni Trenta del Cinquecento entra
invece in un progressivo declino, anche in seguito alla crisi delle istituzioni repubblicane e alla definitiva
instaurazione della signoria medicea. La sconfitta, e il conseguente esilio di molte delle figure di spicco della vita
mercantile cittadina, non solo porta a un generale impoverimento dell'economia di Firenze, ma mina quel pluralismo
di idee e di interessi che è al centro di ogni feconda attività pubblica: venendo meno la libertà – sembra dirci la storia
fiorentina –, viene meno anche la ricchezza e la molteplicità delle voci, e con esse la produzione e la diffusione dei
libri.
Scemato così l'interesse per le contese politiche e religiose e allineatosi il clima culturale col restaurato
governo, nel XVI secolo sopravvive la pubblicazione dei classici latini e greci, mentre il mercato editoriale si sposta
progressivamente verso un nuovo pubblico fatto di cortigiani, notabili e burocrati: si stampano i testi delle commedie e delle
sacre rappresentazioni, si moltiplicano le pubblicazioni di editti, leggi e regolamenti, si intensifica
la produzione e la diffusione di testi di meditazione religiosa, salteri, vite di santi e di mistici, perché l'interesse dei
cittadini, sempre più alieno dalla vita pubblica e dall'impegno civile, ricade nel privato, nella
speculazione e nella riflessione personale. A fronte di questa crisi, che è politica, economica e culturale al tempo stesso, le quasi due
decine di tipografie fiorentine attive per tutta la seconda metà del Quattrocento
e i primi decenni del Cinquecento si
riducono alle poche che fanno capo ai nomi che si contendono il monopolio dell'attività editoriale: quelli dei Giunti,
del Torrentino e del Marescotti.
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I Giunti di Firenze, tipografi ed editori
Filippo Giunti
Gli editori e i tipografi più importanti della nuova e seconda fase dell'editoria fiorentina sono i
Giunti. La loro attività iniziò nel 1489 con Filippo Giunti che, in società col fratello Lucantonio, attivo da alcuni
anni a Venezia, si propose di aprire il mercato fiorentino alle pubblicazioni prodotte nella stamperia del fratello:
inizialmente, quindi, l'impresa dei Giunti di Firenze era sussidiaria a quella del ramo veneziano, anche se, da un
punto di vista economico, si rendeva sempre più autonoma arrivando, Filippo, a finanziare personalmente la
pubblicazione di quei testi editi e stampati da Lucantonio, ma destinati al mercato di Firenze. La società con i Giunti
di Venezia proseguì fino al 1510; tuttavia, tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento anche Filippo attivò
a Firenze una propria tipografia: qui stampò, soprattutto, testi classici, latini e greci,
rivolgendosi quindi ad un pubblico “borghese” e introducendo la novità di edizioni
di piccolo formato e in carattere corsivo. Filippo si
dimostrò, fin dall'inizio della sua attività, un innovatore del settore editoriale andando a ricercare “nicchie” di
mercato fuori dai tradizionali canali commerciali, proponendo titoli nuovi e avvalendosi della collaborazione di
prestigiosi umanisti.
La politica editoriale senza dubbio più audace e, se vogliamo, “protocapitalistica” di Filippo,
rispetto a quella dei Giunti di Venezia, da una parte ampliò e rafforzò gli affari dell'impresa fiorentina, dall'altra
minò progressivamente i rapporti con Lucantonio che, ben presto, decise di ridurre e poi interrompere la
collaborazione col fratello. Tuttavia l'attività di Filippo continuò a fiorire e raggiunse il punto più alto quando, nel
1515, grazie all'intercessione dei Medici, ottenne da papa Leone X l'estensione anche per i Giunti di Firenze del
privilegio tipografico concesso al veneziano Aldo Manuzio; ciò sancì, di fatto, la nascita di un monopolio editoriale
che durò incontrastato per alcuni decenni.
Bernardo e Benedetto Giunti
Alla morte di Filippo, avvenuta nel 1517, le redini dell'impresa tipografica
passarono nelle mani degli eredi, ovvero dei figli Bernardo – formatosi come tipografo a Venezia presso lo zio
Lucantonio e dotato di una solida cultura umanistica – Francesco, Giovanni e Benedetto. Di questi solo il maggiore,
Bernardo, e il più piccolo, Benedetto, si impegnarono assiduamente nell'attività paterna e, dopo un avvio di alcuni
anni in società, si spartirono nel 1535 i beni dell'impresa familiare tentando, ciascuno per conto proprio, di
ripercorrere la fortunata strada del padre. Anche se, tra il 1530 e il 1540, entrambi i nomi si alternarono sui
frontespizi delle edizioni pubblicate, dei due fratelli fu soprattutto Bernardo ad avere più successo a Firenze, mentre
Benedetto, pur continuando ad affiancare il fratello nella tipografia, trasferì progressivamente la propria attività di
editore a Roma. L'arrivo di Lorenzo Torrentino a Firenze nel 1546, e il conseguente privilegio generale concessogli
dal Granduca Cosimo nel 1547, intaccò solo in parte il monopolio dei Giunti che, grazie alla forza e alla stabilità
economica dell'impresa fondata da Filippo e all'intraprendenza imprenditoriale di Bernardo, seppero resistere ed
opporsi alla nuova concorrenza.
Questo episodio, tuttavia, può farci riflettere, sulle orme di diversi studiosi della
storia di Firenze, su un'ipotetica vicinanza dei Giunti alle idee e alle fazioni repubblicane e antimedicee, in
considerazione anche del fatto che la bottega dei Giunti di Venezia era luogo di incontro per i numerosi rifugiati
fiorentini e di alcune iniziative editoriali “filorepubblicane” intraprese durante gli anni del governo popolare.
Nonostante le drammatiche vicende politiche della Repubblica fiorentina – e un comprensibile, quanto opportuno,
adeguamento dei Giunti a posizioni più liberali – e la conseguente crisi e instabilità del principato di Alessandro de'
Medici, Bernardo seppe continuare con il medesimo zelo l'attività del padre, confermandone la linea editoriale e la
cura filologica nella pubblicazione degli autori classici. Soprattutto per questo tipo di edizioni, oltre ad avvalersi
della collaborazione di quegli umanisti che già avevano assistito Filippo, curò egli stesso, fin dagli anni della sua
formazione veneziana e degli esordi in società col fratello, l'edizione di molti testi.
Filippo, Iacopo e Bernardo il Giovane
Dopo Bernardo Giunti, deceduto intorno al 1550, l'impresa passò nelle
mani dei suoi figli, inizialmente Filippo e Iacopo, i due maggiori, a cui più tardi si aggiunse Bernardo, detto “il
Giovane”, che però, a partire dal 1570, scelse di esercitare l'attività di tipografo a Venezia, mentre a Firenze si limitò
a partecipare a iniziative editoriali in società con i fratelli. Un altro figlio di Bernardo “il Vecchio”, Giulio, aprì
invece un'officina tipografica a Madrid. Agli eredi di Bernardo Giunti spettò il difficile compito di confrontarsi
apertamente con la concorrenza della tipografia di Lorenzo Torrentino che, dopo il privilegio del 1547, deteneva il
monopolio della stampa di numerose opere ed aveva il titolo di “impressore ducale”, cioè di delegato del Granduca
per la stampa dei documenti e degli atti amministrativi di importanza pubblica. In questi anni i Giunti tentarono,
inizialmente, di aggirare le restrizioni derivate dal privilegio, facendo stampare i propri testi dalle officine
tipografiche del ramo di Venezia, editi, per l'appunto, “su istanza” degli «heredi di Bernardo Giunti».
Un altro modo
di rafforzare l'aspetto commerciale dell'impresa fu quello di diversificare le attività economiche della
famiglia: oltre alla stamperia e alle cinque botteghe di librai e cartolai che avevano in affitto, è documentata la
presenza anche di altri locali, presi in affitto per svolgervi mestieri diversi come quello di pittore o, addirittura,
panettiere.
La rivalità con Torrentino
La “guerra” commerciale tra gli eredi di Bernardo e la tipografia dei Torrentino volse a
favore dei Giunti quando i rapporti con il tipografo di origine fiamminga e il Granduca Cosimo incominciarono a
incrinarsi, intorno agli anni Sessanta del Cinquecento, e si interruppero definitivamente con la morte del primo, nel
1563. All'inizio i tipografi fiorentini ottennero una serie di privilegi relativi a specifiche edizioni e, nel Settembre
del 1562, ottennero una concessione generale che ribadiva e ampliava la sostanziale posizione di monopolio ottenuta
con il privilegio di papa Leone X nel 1515. Artefice di questo riavvicinamento tra la famiglia Giunti e i Medici fu la
politica di mediazione portata avanti da Pier Vettori amico del Granduca e, da tempo, collaboratore di spicco dei
tipografi nella cura di numerose edizioni. Purtroppo gli eredi di Bernardo fallirono nell'ottenere l'esclusivo titolo,
più volte richiesto, di stampatori ducali; tuttavia, la nuova situazione facilitò il rafforzamento del mercato nobiliare e
borghese a cui i Giunti, tradizionalmente, si rivolgevano: risale a questi anni, ad esempio, l'iniziativa di stampare le
descrizioni delle feste granducali, impresa che pur essendo esosa – tali opere erano infatti corredate di numerose e
ricche illustrazioni – si rivelava estremamente proficua, visto il target gentilizio a cui erano rivolte.
Intorno al
1570, a circa sei anni dalla scomparsa di Lorenzo Torrentino, l'azienda ereditata dai figli entrò in crisi, per cui i
Giunti e il tipografo Marescotti – ex dipendente del Torrentino – fecero a gara per acquistarne le macchine, i
caratteri, gli strumenti e perfino le officine ed i laboratori tipografici. I primi, riuscirono a entrare in possesso della
sola bottega del libraio, mentre le attrezzature andarono a costituire il grosso degli strumenti a disposizione del
Marescotti. L'attività editoriale degli eredi di Bernardo continuò, comunque, a fiorire per tutta la durata del XVI
secolo, proseguendo sulla scia del padre: Filippo e poi Iacopo e Bernardo il giovane, seppero dedicarsi alla cura
redazionale, anche in prima persona, di numerose opere di alto valore culturale, ma furono anche in grado,
soprattutto negli ultimi anni del Cinquecento, di intensificare la produzione di testi e autori moderni, cercando di
“cavalcare” le mode e gli interessi del mercato a loro contemporaneo, consegnando, ai propri successori un'impresa
che restò significativamente florida fino almeno alla metà del Seicento.
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Lorenzo Torrentino e Giorgio Marescotti
Lorenzo Torrentino
A partire dalla metà del Cinquecento il principale rivale commerciale dei Giunti di
Firenze fu il tipografo ed editore Lorenzo Torrentino: originario della regione del Brabante – il suo vero nome era
Laurens van der Bleek – fu chiamato da Cosimo de' Medici a Firenze nel 1546, lasciando a Bologna una libreria-tipografia
(detta «la libreria del Thodesco») gestita assieme ad Arnoldo Arlenio. Nel 1547 Lorenzo Torrentino aprì
ufficialmente un'officina tipografica a Firenze, facilitato e sostenuto economicamente dal privilegio generale e dal
titolo di “impressore ducale” concessogli da Cosimo de' Medici, facendo fiorire la propria attività fino al 1563,
l'anno della sua morte. In questa data gli succedettero i figli Lorenzo, Romolo e Bonaventura che portarono avanti
l'attività del padre fino al 1570, quando l'azienda di famiglia entrò in crisi, soprattutto a causa della concorrenza
sempre più agguerrita degli eredi di Bernardo Giunti che, essendosi riguadagnati i favori del governo mediceo, ne
avevano ottenuto ulteriori e rilevanti privilegi editoriali.
Giovanni Marescotti
Nel 1570 Giorgio Marescotti, tipografo di origine francese, ex dipendente dell'azienda di
Lorenzo Torrentino ed editore occasionale in società con i suoi eredi, approfittando del grave momento di crisi d
ell'impresa – che chiuse definitivamente i battenti intorno al 1571 – ne acquistò gran parte del materiale tipografico
avviando una propria officina e libreria. Sulla scia del tipografo fiammingo, l'attività del Marescotti andò a porsi in
aperta concorrenza con quella dei Giunti: avvalendosi dei caratteri e del buon materiale di stampa acquistato dai
Torrentino, seppe produrre edizioni di pregio sempre maggiore, raggiungendo, negli ultimi decenni del Cinquecento,
un livello qualitativo molto alto e specializzandosi nella stampa di testi musicali. Momento significativo di questo
periodo favorevole fu l'ottenimento, da parte del governo, del privilegio editoriale per i bandi amministrativi del
granducato, che gli diede l'impulso e gli assicurò le risorse economiche per proseguire l'attività fino al 1602, anno
della sua morte.
Gli eredi di Marescotti
Gli eredi di Giorgio Marescotti non seppero mantenere intatto il patrimonio del padre e,
dopo una lunga causa per la spartizione dei beni, l'azienda risultò fortemente indebolita; intorno a questi anni una
parte consistente del materiale fu acquisito dagli editori Giunti del ramo veneziano e da un tipografo fiorentino
insediatosi a Pisa, tale Giovanni Fontani, che era stato socio di Giovan Battista Boschetto, a sua volta genero e socio
di Giorgio Marescotti. Le pubblicazioni a firma degli eredi del Marescotti proseguirono, quindi, fino al 1604,
quando Cristofano Marescotti, uno dei figli minori, rilevò l'intera impresa. Il nuovo editore e tipografo proseguì
l'attività fino al 1615, anno della sua probabile scomparsa: l'ultima notazione in cui compare il nome della famiglia
è, infatti, presente in un bando di privilegio per la stampa di un'opera del 1617 e riporta la dicitura «eredi di
Cristofano Maescotti».
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Testi religiosi, a stampa e in volgare, nella Toscana del Cinquecento
La stampa religiosa in Italia e a Venezia
L'attività editoriale e tipografica della Toscana del Cinquecento appare
coerente con le vicende e i repentini cambiamenti che caratterizzarono la storia di Firenze. Occorre premettere che
in Toscana non furono mai stampate bibbie, né in latino né in lingua volgare. Questo è forse da attribuire all'uso di
copiare e miniare ancora a mano – nei conventi e nei monasteri – le bibbie e i testi sacri usati dai religiosi o dal fatto
che la produzione a stampa di Bibbie era largamente diffusa in Europa e in città con una più solida e affermata
attività tipografica, come Venezia, o con una presenza particolarmente significativa dell'istituzione ecclesiastica,
come Roma. A Venezia spetta, infatti, il primato italiano della stampa di Bibbie sia in latino che in lingua volgare,
sia nella versione ebraica contenente il solo Vecchio Testamento, sia nella traduzione dal greco del Nuovo
Testamento. Proprio da Venezia, dalla tipografia del fiorentino Lucantonio Giunti, giungono a Firenze molte
edizioni delle Bibbie, probabilmente vendute e diffuse per iniziativa del fratello Filippo: tra il 1507 e il 1536 i Giunti
di Venezia diedero alle stampe oltre una decina di edizioni di Bibbie, alcune tradotte in volgare, altre comprendenti
solo il Nuovo Testamento o parti del Vecchio.
La stampa religiosa a Firenze nel Quattrocento
La produzione di testi a stampa a Firenze, contenenti parti e traduzioni
delle scritture sacre, ebbe iniziò molto presto grazie a quelle realtà tipografiche esplicitamente dedicate all'editoria
religiosa come, ad esempio, l'officina tipografica di San Iacopo a Ripoli. Intorno al 1480 questa stamperia pubblicò
due edizioni dei salmi penitenziali, una in latino e una in latino con traduzione in volgare italiano e due edizioni del
Vangelo di San Giovanni, oltre a una curiosa edizione del salterio per ragazzi denominata “salteruzzo”.
A circa
dieci anni prima, nel 1470, risale invece un'edizione in volgare del messale romano, contenente le lettere degli
apostoli e i vangeli, il cui luogo di stampa è incerto, anche se la più recente critica lo identifica con la città di
Firenze.
Le tipologie di edizioni
La pratica di stampare i brani del Nuovo Testamento contenuti nel messale
romano e i Salmi penitenziali utilizzati per le preghiere degli “offizi diurni”, in edizioni tradotte in lingua volgare, ci
indica la presenza di un ampio pubblico di devoti di buona cultura e di elevato grado sociale, ma privi di una
approfondita formazione umanistica, che è sempre più numeroso nell'Italia del Rinascimento: anche a Firenze
infatti, se si eccettuano le due edizioni del Vangelo di San Giovanni prima citate, la totalità delle edizioni di scritti
sacri tradotti in volgare appartengono a queste due tipologie.
Il mercato editoriale e la società fiorentina
L'apparente “limite” settoriale è da leggere in coerenza con il tipo di
mercato editoriale che si era creato a Firenze e nella Toscana tra il XV e il XVI secolo: un mercato fortemente
segnato dall'attività economica e mercantile dei commercianti e della nobiltà fiorentina, fatto da un pubblico colto,
ma non erudito, che non disdegnava, nel privato, di dedicarsi, assieme alle letture dei classici latini e greci - tradotti
in lingua toscana - o degli autori moderni, alla riflessione e alla meditazione personale per mezzo di testi di orazione
e meditazione spirituale, attingendo personalmente alle pagine della Scrittura direttamente coinvolte in queste
pratiche religiose (appunto i Salmi del salterio e le letture delle funzioni) nella lingua parlata e usata
quotidianamente. Il senso “moralizzante” di questo tipo di edizioni fa sì, inoltre, che la loro pubblicazione sia più
intensa proprio in quei periodi in cui l'aspetto religioso e morale è al centro della vita e della politica fiorentina e
dunque nel decennio “caldo” della predicazione del Savonarola: nel solo 1495, per esempio, si hanno ben cinque
pubblicazioni (tre messali e due salteri), due nel 1490 e una intorno al 1498. Un altro aspetto interessante da notare è
che la scelta degli editori spesso ricade su testi tradotti e commentati da umanisti ed eruditi di fama, il cui nome è
familiare e gradito al pubblico a cui queste opere sono rivolte: vengono pubblicati nel 1495, ad esempio, i salmi
penitenziali tradotti dal Petrarca, nel 1537 quelli dell'Aretino. Spesso questi nomi servono a ribadire anche la linea
ideologica e politica degli editori: così in piena epoca repubblicana i Giunti pubblicano le opere di Girolamo
Benivieni, autore noto per un'apologia del Savonarola, contenenti scritti di tipo morale e religioso e, appunto, una
traduzione dei “Salmi di David”, mentre negli anni del restaurato governo mediceo vengono più volte stampate le
traduzioni dei Salmi – accompagnate da commenti e poesie di impronta spirituale – di Laura Battiferri degli
Ammannati, poetessa e studiosa amica del Varchi,
o del canonico Francesco Cattani da Diacceto – nipote del più
celebre e omonimo allievo di Ficino – che, amico di Pier Vittori, del Varchi e del Cardinal Salviati, apparteneva a
quella cerchia di intellettuali vicini alla famiglia dei Medici.
Conclusioni
In conclusione, oltre ad illuminarci sulla politica commerciale dei principali editori di Firenze,
attenti a un particolare mercato, la pubblicazione di un genere così specifico di testi, in maniera analoga a edizioni
simili uscite in altre città e paesi dell'Europa del Cinquecento, può testimoniare qualcosa dei mutamenti e delle
vicende della storia culturale e politica. Le traduzioni in volgare delle Sacre Scritture uscite a Firenze nel XVI
secolo rendono comunque ragione di un particolare clima sociale caratterizzato da borghesi e nobili cittadini o dalle
gentildonne delle famiglie gentilizie, arricchitesi col commercio e l'attività finanziaria, che scelgono di approfondire
e coltivare la spiritualità nel privato, nutrendosi di letture morali ed edificanti, in una prospettiva, seppure ortodossa,
parzialmente autonoma rispetto ai dettami della Chiesa controriformista.
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